La fisica per strada
Scoprire la fisica in automobile e in motocicletta
Il principio di conservazione della quantità di moto
Dopo aver considerato qual è l’effetto di un impulso su un corpo, andiamo a considerare un sistema formato da più corpi. Tuttavia, dal momento che nella realtà i sistemi fisici sono molto complicati, per studiare le variazioni delle quantità di moto che si verificano durante gli urti è necessario fare un’assunzione fondamentale, che permette di semplificare notevolmente i problemi. Bisogna considerare dei sistemi fisici chiusi (in cui nessun corpo può entrare o uscire da essi) e isolati (su cui non agiscono forze esterne non equilibrate). Osserviamo che nel caso degli urti possiamo fare questa assunzione senza problemi, infatti le forze impulsive interne che si generano durante una collisione sono talmente intense e durano per un intervallo di tempo così piccolo, che le forze esterne possono essere trascurate.
Per arrivare ad una conclusione di carattere generale, procediamo in questo modo. Consideriamo un sistema fisico chiuso e isolato formato due corpi, 1 e 2, che si scontrano in un intervallo di tempo , entrambi dotati di quantità di moto rispettivamente p1 e p2 prima dell’urto e p’1 e p’2 dopo l’urto.
Sia F21 la forza esercitata da 2 su 1 e F12 quella di 1 su 2. Per il terzo principio della dinamica sappiamo che vale l’uguaglianza F12= - F21. Se moltiplichiamo entrambi i membri per l’intervallo di tempo otteniamo:
Per il teorema dell’impulso, che era stato ricavato a partire dal secondo principio della dinamica, abbiamo
Sostituendo ciò nella prima uguaglianza si ottiene:
In conclusione in un sistema chiuso e isolato la somma delle quantità di moto iniziali è uguale alla somma di quelle finali, in altre parole la quantità di moto si conserva. Questo principio vale per tutti i tipi di urti, anche se i sistemi non sono effettivamente isolati, l’importante è considerare l’istante immediatamente precedente e quello immediatamente successivo all’urto. Si osservi che questo principio è stato ottenuto come conseguenza dei principi della dinamica.
Vediamo alcuni esempi di urti e vediamo come il principio è sempre verificato.
Urti in una dimensione
Partiamo dal caso più semplice, quello degli urti su una retta: si tratta del tipo più semplice di moto e in questo caso possiamo trascurare la notazione vettoriale della velocità. Possiamo suddividere in due sottogruppi questo tipo di collisioni, considerando quelli in cui si conserva la quantità di moto (urti anelastici) e quelli in cui oltre a conservarsi la quantità di moto si conserva anche un'altrà quantità, detta energia cinetica, di cui parleremo più avanti (urti elastici).
Urto anelastico
Consideriamo un corpo di massa m1 e velocità v1 che urta un corpo di massa m2 inizialmente fermo (v2=0). Dopo l’urto i due corpi procedono uniti, quindi alla stessa velocità. Per trovare la velocità finale vf utilizziamo la conservazione della quantità di moto:
Da questa uguaglianza si ottiene
Un urto del genere si verifica ad esempio nei tamponamenti.
Urto elastico
Supponiamo che un corpo di massa m1 urti a velocità v1 un corpo di massa m2 fermo (v2=0). Dopo l’urto il primo corpo rimane fermo come se trasferisse tutta la sua velocità all’altro che di conseguenza inizia a muoversi. Come prima per determinare la velocità finale di questo corpo si ricorre al principio di conservazione della quantità di moto:
dove v2f è la velocità finale del secondo corpo e vale:
Attenzione: questo è un esempio che non ha carattere generale, infatti cosa succederebbe se dopo l’urto entrambi i corpi procedessero separati ma ciascuno con una velocità non nulla? Dalla conservazione della quantità di moto si avrebbe:
Questa è un’equazione in due incognite, perciò in questo caso generale non basta la conservazione della quantità di moto per risolvere il problema. Per completare la descrizione di quello che accade è necessario introdurre un concetto fondamentale per la fisica: la conservazione dell'energia cinetica.
Gli urti
Gli incidenti stradali sono eventi che purtroppo hanno a che fare con la nostra quotidianità. Lo studio della fisica ci aiuta a capire cosa avviene quando due macchine si scontrano e in questo modo possiamo farci un’idea di come la polizia stradale ricostruisce le dinamiche di questi eventi.
Partiamo da un esempio e pensiamo a cosa avviene dopo uno scontro frontale tra due veicoli che procedevano a velocità costante ma in verso opposto lungo la stessa direzione. I veicoli, e con essi i passeggeri, per inerzia tenderebbero a procedere nello stesso senso di marcia ma vengono bruscamente fermati. Agisce quindi una decelerazione, ovvero un’accelerazione negativa, molto forte ed è ragionevole pensare che questo accada in un intervallo di tempo piccolo. Dallo studio dei principi della dinamica sappiamo che agisce una forza che provoca tale accelerazione e quindi grazie alle nostre conoscenze potremmo analizzare quello che accade. Possiamo però decidere di affrontare il problema anche da un altro punto di vista, ovvero possiamo cercare di confrontare quello che avviene prima dell’urto e il risultato finale dello scontro. Così facendo potremmo indagare su quali caratteristiche si conservano, ovvero quali rimangono costanti prima e dopo l’incidente.
Quantità di moto e impulso
Consideriamo due veicoli di massa diversa, ad esempio un camion e un’automobile: se stanno procedendo alla stessa velocità allora, come insegna il secondo principio della dinamica, per fermarsi nello stesso istante dovranno applicare accelerazioni diverse, ciascuna in proporzione alla propria massa.
Consideriamo due veicoli della stessa taglia che però procedono a velocità diverse: se entrambe si fermano nello stesso istante allora quella che procedeva a velocità maggiore dovrà applicare una forza maggiore, proporzionalmente alla velocità posseduta prima della frenata. In concreto stiamo considerando sempre il secondo principio della dinamica, evidenziando il ruolo della velocità, ovvero considerando che
Inoltre si è messo in evidenza il fatto che per determinare la forza necessaria a modificare un moto, è necessario considerare contemporaneamente l’incidenza della massa e della velocità, in modo da avere un’idea di quanto “pesa” un corpo in movimento. Per farlo è utile introdurre una nuova grandezza fisica: la quantità di moto, una grandezza vettoriale data dal prodotto della massa per la velocità:
L’unità di misura della quantità di moto è il kilogrammo per metri al secondo: kg m/s.
Si osserva che mentre i veicoli stanno viaggiando a velocità costante, ciascuna delle quantità di moto singolarmente è conservata. Infatti, assumendo che ogni massa rimanga costante, se su ciascun veicolo non agiscono forze, la sua velocità rimane costante e quindi il prodotto delle due grandezze resta invariato. Tuttavia dopo un incidente, se i veicoli si ritrovano fermi, si registra una variazione di velocità e perciò le quantità di moto cambiano. La variazione di quantità di moto non è più nulla:
Prendiamo di nuovo in considerazione il secondo principio della dinamica scritto in funzione della variazione della velocità e moltiplichiamo entrambi i membri per la variazione di tempo:
Il primo membro dell’equazione, rappresentato dal prodotto della risultante delle forze per l’intervallo di tempo durante il quale tali forze agiscono, è detto impulso. Si tratta di una grandezza fisica vettoriale che ha la stessa direzione e lo stesso verso della risultante delle forze e si misura in Newton per secondi. Utilizzando la definizione di quantità di moto si può riscrivere l’impulso in questo modo:
Si ha quindi che l’impulso comunicato ad un corpo è uguale alla variazione della quantità di moto del corpo stesso. Questa uguaglianza prende il nome di teorema dell’impulso e della quantità di moto. A questo punto, dividendo per l'intervallo di tempo, possiamo riscrivere il secondo principio della dinamica in questo modo:
Quando Newton espresse la sua idea di forza nel secondo principio della dinamica, la matematica ancora non aveva le sembianze moderne a cui siamo abituati oggi. Tuttavia questa formulazione della seconda legge è più vicina a quella che aveva pensato Newton ed è anche più generale della forma che abbiamo usato in precedenza.
Il teorema dell’impulso dice che una grande variazione di quantità di moto di un corpo corrisponde ad un grande impulso sullo stesso, e questo si può verificare in due situazioni: o con una forza molto intensa agente per un breve intervallo di tempo, oppure con una forza molto meno intensa che agisce per un intervallo di tempo molto lungo.
Su questo principio si basa il funzionamento dell’airbag: quando un’automobile si scontra con un ostacolo e di conseguenza si ferma, si ha che anche sui suoi passeggeri agisce un impulso della stessa intensità. Nel caso dell’autista tale impulso viene esercitato dal volante e, a causa della natura dell’impatto, è ragionevole pensare che esso eserciti una forza molto forte per un intervallo di tempo piccolo. L’airbag fa in modo di diminuire l’intensità di questa forza e allungarne la durata dell’azione, in questo modo l’impulso ha sempre lo stesso valore ma le conseguenze sull’organismo dell’autista sono molto diverse. Per lo stesso motivo le carrozzerie delle automobili sono deformabili e l’utilizzo del casco in moto può salvare la vita in caso di incidente stradale.
Urti in due dimensioni
Come abbiamo detto all’inizio gli urti unidimensionali sono i più semplici che si possano avere, tuttavia quando i corpi coinvolti sono dei veicoli, le cose si complicano notevolmente e bisogna tener conto di moltissimi fattori tra cui le loro dimensioni e l’inclinazione di collisione. Può accadere infatti che i vettori velocità iniziali e finali dei due corpi formino tra loro un angolo non nullo, in tal caso gli urti vengono detti bidimensionali.
Consideriamo ancora per semplicità il caso di due biglie che si scontrano di striscio, come nel caso di una partita di biliardo, entrambe dotate di massa m e supponiamo che il tipo di urto sia elastico (conservazione dell'energia cinetica).
Supponiamo che inizialmente una pallina sia ferma mentre l’altra sia dotata di una velocità v1 e quindi di una quantità di moto non nulla che indicheremo con p1.
Possiamo concludere che in generale dopo un urto elastico in cui una biglia ne colpisce un’altra ferma di massa uguale, le due biglie hanno velocità perpendicolari.
Gli incidenti stradali
Nel nostro percorso abbiamo sempre assimilato i veicoli a dei punti materiali con lo scopo di determinare con semplicità i tipi di moto e di capire a grandi linee la loro dinamica. In realtà essi sono dei corpi estesi e se si devono trovare con precisione le loro posizioni per studiare nel dettaglio lo spazio percorso, come ad esempio nell’analisi degli incidenti stradali, queste semplificazioni non sono più valide.
Consideriamo lo studio degli incidenti tra due automobili. In questo caso è necessario stabilire con precisione la posizione del baricentro delle auto. Infatti il baricentro è di fondamentale importanza perché la distanza tra questo punto e la retta che individua la direzione dell’impulso, determina quanto cambia la velocità dei veicoli e le loro eventuali rotazioni dopo l’urto.
Gli esperti che si occupano della ricostruzione degli incidenti stradali determinano alcuni punti dello spazio che sono di fondamentale importanza per il loro lavoro. Essi individuano il punto d’urto, che ad esempio può corrispondere alla fine delle tracce di frenata e all’inizio di quelle di sbandata laterale, e il centro dell’impatto a partire dalle deformazioni su entrambi i veicoli. Inoltre è possibile stabilire la velocità di arrivo e di uscita dall’urto, ed è facile immaginare come questo dato permetta di valutare l’intensità dell’impulso (che ricordiamo essere il prodotto della massa per la variazione di velocità).
Questi dati contribuiscono a stabilire l’angolazione delle vetture al momento dell’impatto e quindi a determinare chi ha causato l’incidente e gli eventuali concorsi di colpa.
Lavoro, potenza ed energia
Quando su un corpo agisce una forza costante F e questa provoca uno spostamento s rettilineo, detto α l’angolo compreso tra questi due vettori, possiamo definire il lavoro di F durante lo spostamento s in questa maniera:
L’unità di misura del lavoro è il joule (J) dove 1J=1N 1m.
Per descrivere con che rapidità viene compiuto lavoro su un oggetto si utilizza il concetto di potenza. La potenza è il lavoro effettuato nell’unità di tempo ed è rappresentata dalla seguente formula:
L’unità di misura della potenza è il watt (W) che è dato dal rapporto tra joule e secondi: W=J/s .
Supponiamo ora di voler portare un corpo di massa m, inizialmente fermo, ad una velocità v mediante l’applicazione di una forza di modulo F e assumiamo che tale forza provochi uno spostamento di modulo s. Per semplicità supponiamo che i vettori F ed s abbiano stessa direzione e stesso verso. Il lavoro compiuto dalla forza vale quindi W=Fs=(ma)s, dove nell’ultimo passaggio abbiamo applicato il secondo principio della dinamica. Dallo studio della cinematica sappiamo che vf=a t. Da questa espressione possiamo ottenere il tempo e sostituirlo nella legge oraria dello spostamento. In questo modo si ottiene lo spazio in funzione della velocità:
Sostituendo questa espressione nella formula per il lavoro si ottiene una quantità che viene anche chiamata energia cinetica e viene indicata con la formula:
Si utilizza il termine “energia cinetica” per esprimere la capacità di un corpo in movimento di provocare un qualche cambiamento in un altro corpo contro cui esso urti. Essa può essere interpretata sia come il lavoro necessario a portare un corpo di massa m da fermo alla velocità v, sia come quello che può compiere la stessa massa in movimento con velocità v quando viene fermata. Dal momento che rappresenta una misura del lavoro, l’unità di misura dell’energia cinetica è il joule.
Insieme all’energia cinetica possiamo introdurre il concetto di energia potenziale come la capacità di provocare un cambiamento posseduta “in potenza” da un corpo. Questa grandezza, che è fondamentale in fisica, non viene qui approfondita poiché merita una sezione a parte.
A questo punto possiamo distinguere i tipi di urto da un punto di vista energetico. Infatti durante un urto tra due corpi, agiscono delle forze che modificano leggermente la forma dei due corpi. In quel breve istante, l’energia cinetica del moto si trasforma in potenziale. La distinzione viene fatta in base a quello che accade una volta terminato l’impatto:
-
se subito dopo l’urto ciascun corpo riprende esattamente la forma iniziale e l’energia potenziale ritorna ad essere per intero energia cinetica, allora si dice che l’urto è elastico. In questo caso quindi, oltre alla conservazione della quantità di moto, si conserva anche l’energia cinetica;
-
se invece dopo l’urto i corpi non ritornano nella forma iniziale, allora si ha che una parte dell’energia cinetica si è trasforma in un’altra forma di energia e quindi l’energia cinetica non si conserva. In questo caso gli urti si dicono anelastici e si ha solo la conservazione della quantità di moto.
Ritorniamo al problema irrisolto di prima in cui abbiamo due corpi di massa m1 e m2, con velocità v1 e v2=0 e che dopo l’urto procedono con velocità diverse v1f e v2f. Dalla conservazione della quantità di moto abbiamo
e dalla conservazione dell’energia cinetica si ottiene
Mettendo a sistema queste due equazioni e facendo dei semplici calcoli si ottiene il valore delle due velocità finali:
Si osservi che l’ipotesi v2=0 ha semplificato notevolmente i conti ma anche se la velocità iniziale del secondo corpo non fosse nulla si potrebbe procedere allo stesso modo per trovare le velocità finali dei corpi. La differenza sta solo nella complessità della formula finale.
Dopo l’urto la prima pallina avrà velocità v’1 e la seconda v’2.. A questi vettori sono associate le rispettive quantità di moto p’1 e p’2 . Analizziamo l’urto imponendo i due principi di conservazione che conosciamo. Dalla conservazione della quantità di moto si ha
mv1=mv'1+ mv2'
e semplificando m si ottiene v1=v'1+v'2 .
Questo significa che la velocità iniziale della prima biglia è uguale alla somma vettoriale delle velocità finali delle due biglie.
Dalla conservazione dell'energia cinetica invece ricaviamo che:
Possiamo interpretare questa relazione utilizzando il teorema di Pitagora: in questo caso abbiamo che la somma dei quadrati costruiti sui cateti rappresentati da v'1 e v'2 è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa che è uguale al vettore velocità iniziale v1 e così possiamo concludere che il triangolo formato da questi vettori è rettangolo. Quindi l’angolo formato dai vettori velocità dopo l'urto è retto.