La fisica per strada
Scoprire la fisica in automobile e in motocicletta
Automobile in curva
Con l’aiuto di un esercizio proviamo a capire quale comportamento dovrebbe assumere un guidatore per affrontare le curve in sicurezza.
La massima forza di attrito statico è proporzionale alla forza normale, cioè al peso della macchina:
Conclusione: la forza di attrito non riesce a fornire la forza centripeta necessaria alla curva, quindi l’auto inizierà a sbandare radialmente ed esce di strada.
Cosa dovrebbe fare l’autista per evitare l’incidente?
La forza centripeta dipende dalla massa, dalla velocità e dal raggio di curvatura. L’autista può agire solo sulla velocità dell’automobile e diminuirla fino ad ottenere una forza centripeta almeno uguale al massimo attrito disponibile:
Quindi:
Decelerando fino a 90 km/h la forza necessaria per curvare uguaglia la forza di aderenza tra le gomme e la strada. Per una maggiore sicurezza l’autista dovrebbe tenersi a velocità inferiore a 90 km/h.
Un’auto di 1000 kg impegna una curva di raggio 80 m a 100 km/h. La forza centripeta necessaria per curvare è fornita dalla forza di attrito statico tra gomme e strada. Riuscirà l’auto a chiudere la curva senza uscire di strada se il coefficiente d’attrito vale 0,8?
La forza centripeta necessaria per mantenere la curva vale:
Curve in pendenza
Eccesso di velocità e spazio di frenata
Per gli automobilisti e i motociclisti è molto importante capire il senso dei limiti di velocità. Infatti valutare l’eccesso di velocità solo rispetto al limite imposto dalla legge e segnato sui cartelli stradali è riduttivo in quanto influiscono sulla sicurezza molti fattori quali le condizioni della strada, del traffico, la prontezza di riflessi del conducente, le condizioni meteorologiche e molto altro. Tali caratteristiche determinano il cosiddetto spazio di frenata, ovvero lo spazio necessario a un veicolo in movimento per fermarsi. Tuttavia è necessario considerare che a questo spazio si deve aggiungere lo spazio percorso nel tempo di reazione, ovvero nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’istante in cui il guidatore si accorge dell’ostacolo e l’istante in cui inizia a frenare. Tale tempo varia dai 0.5 ai 1.5 secondi e mediamente (per persone in condizioni psico-fisiche efficienti) è di circa 0.7 secondi. Consideriamo per semplicità un tempo di reazione (detto anche tempo psicotecnico) di 1 secondo.
La prima domanda a cui si deve rispondere è la seguente: un veicolo che viaggia alla velocità di 70 km/h, quanto spazio percorre in 1 secondo? Dalla formula sappiamo che s=vt . Per rispondere è necessario trasformare l’unità di misura della velocità in metri al secondo:
Quindi viaggiando a 70 km/h con un tempo di reazione di 1 secondo, il guidatore sarà in grado di iniziare a frenare solo dopo aver percorso quasi venti metri:
Se la velocità è invece di 50 km/h, lo spazio percorso prima di iniziare a frenare sarà: s=13.9 m .
A questo intervallo spaziale aggiungiamo lo spazio effettivo di frenata. Come abbiamo già detto questo spazio è influenzato da molti fattori, che in particolare influiscono sull’accelerazione (negativa) che il guidatore dà alla macchina. Vediamo come si può determinare lo spazio di frenata con le formule che abbiamo studiato finora, ipotizzando che la decelerazione prodotta dai freni sia costante. Supponiamo di conoscere la velocità iniziale (quella finale è nulla) e il valore dell’accelerazione, ma di non conoscere il tempo e quindi di calcolarlo dall’accelerazione:
Osserviamo che l’accelerazione è negativa e quindi il valore finale dello spazio di frenata sarà positivo. Si vede inoltre che lo spazio di frenata dipende dal quadrato della velocità. L'accelerazione dipende, come abbiamo precedentemente accennato, da molti fattori tra cui le condizioni meteorologiche, quelle della strada e dei pneumatici. Per avere un'idea dello spazio di frenata complessivo, riportiamo alcune tabelle
In conclusione si osserva che eccessi di velocità apparentemente modesti incidono pesantemente sulla capacità di fermare un veicolo in tempo, con i conseguenti rischi per la sicurezza:
Autovelox e tutor
La polizia stradale, per vigilare sul rispetto dei limiti di velocità, nelle autostrade rileva sia la velocità media che quella istantanea attraverso due strumenti: l’autovelox, che è in grado di rilevare la velocità istantanea del veicolo, e il tutor che, grazie a due rilevamenti successivi, solitamente a distanza di circa 15 km, calcola la velocità media del veicolo. In questo modo anche se un veicolo rallenta in prossimità delle due fotocellule, se la sua velocità è in media sopra a quella del limite consentito, verrà sanzionato per eccesso di velocità.
Le gare di ciclismo nei velodromi si svolgono su piste inclinate verso l’interno in corrispondenza delle curve e lo stesso accade anche negli autodromi. La superficie di questi circuiti è piana ma non è ovunque orizzontale perché, date le alte velocità raggiunte dai competitori durante la loro percorrenza, risulta necessario dover equilibrare la forza centrifuga. Proprio l’adozione di una pendenza maggiore della curva influisce sul valore massimo raggiungibile dalla velocità: a parità di raggio una curva con maggior pendenza potrà essere percorsa con una velocità maggiore senza il rischio si sbandare.
Anche nelle strade normali i costruttori provvedono a costruire i tratti curvilinei un po’ in pendenza. Queste curve “sopraelevate” hanno la convenienza di ridurre il consumo degli pneumatici. Un’automobile, infatti, per poter compiere una curva, sfrutta l’aderenza degli pneumatici al suolo. Una maggior pendenza della curva aiuta a ridurre la necessità di ricorrere alla trazione laterale degli pneumatici.
A cosa serve il casco?
Il codice della strada prevede che i motociclisti debbano indossare il casco durante i loro viaggi. Il buon senso ci suggerisce che esso serva a proteggere la testa in caso di incidenti. Vogliamo mostrare in questa sezione quali sono le grandezze in gioco quando la testa urta contro un altro corpo e come il casco attutisca il colpo.
Prima di prendere in considerazione un vero e proprio incidente stradale, analizziamo un incidente domestico. Quando sbattiamo la testa su uno spigolo e ci procuriamo un bernoccolo succedono molte cose dal punto di vista fisiologico. Se ci limitiamo ad analizzare quello che succede da un punto di vista fisico, dobbiamo prendere in esame un urto e possiamo semplificare la situazione introducendo alcune semplici ipotesi:
-
consideriamo la testa come un punto materiale di massa mT=5 kg;
-
assumiamo che l’urto con lo spigolo sia perfettamente anelastico;
-
la velocità iniziale della testa è v0 mentre quella finale è nulla.
Siamo interessati a capire quanto vale la forza frenante che agisce sulla testa. Consideriamo il problema in una dimensione, quindi otteniamo F = mT aT, dove aT è la decelerazione costante che agisce sulla testa e che possiamo ottenere grazie a semplici considerazioni di natura cinematica. Dal moto rettilineo uniformemente accelerato abbiamo:
Consideriamo Δt l’intervallo di tempo che trascorre tra l’istante in cui la testa tocca lo spigolo e quello in cui la testa si ferma e indichiamo con Δs lo spazio che la testa percorre nel tempo Δt. Se stabiliamo il valore della velocità iniziale v0 e lo spazio percorso, possiamo ricavare la stima dei valori cercati.
Tuttavia risulta più interessante procedere facendo un’analisi dal punto di vista energetico e utilizzando il concetto di quantità di moto. Consideriamo innanzitutto il teorema dell’impulso di una forza che, in forma scalare, è dato dall’espressione FΔt=Δp e consideriamo anche il teorema delle forze vive, che afferma l’uguaglianza tra la variazione di energia cinetica e il lavoro fatto dalla forza frenante: ΔEk=L=F Δs. In maniera esplicita otteniamo:
Ora da queste ricaviamo: e
Combinando insieme queste due espressioni, abbiamo che
Dal secondo principio della dinamica otteniamo il valore dell’accelerazione
Non bisogna dimenticare che l’accelerazione subita dalla testa è negativa perché essa viene frenata durante l’urto. Un’osservazione importante riguarda anche le grandezze che hanno un ruolo nella determinazione dell’accelerazione: oltre alla velocità iniziale che compare al numeratore ed interviene al quadrato, influisce anche lo spazio che compare al denominatore. Notiamo che maggiore è lo spazio, minore risulta l’accelerazione.
Proviamo a fare una stima ragionevole di alcuni dei valori che ci interessano, ad esempio consideriamo che la velocità iniziale sia v0=1 m/s che corrisponde ad una camminata distratta a velocità modesta. Possiamo poi considerare che lo spazio di frenata sia rappresentato dallo schiacciamento della pelle che copre l’osso, più una deformazione elastica della dell’osso stesso e quindi consideriamo Δs=5 mm. Sostituendo questi valori otteniamo:
L’accelerazione subita dalla testa è circa 10 volte quella di gravità. La forza media frenante è quindi pari a
Per capire quanto incide tale forza sulla superficie della testa introduciamo un concetto fisico molto importante, ovvero il concetto di pressione, definita come il rapporto della forza sulla superficie. Osserviamo anche il fatto che la forza frenante equivale alla forza peso di una persona che si trova in prossimità della superficie terrestre e che pesa 50 kg. Infatti sulla superficie terrestre il valore dell’accelerazione gravitazionale è approssimabile a 10 m/s e quindi
Allora per capire quanto influisce questo valore consideriamo che l’urto avvenga contro uno spigolo di 1 cm . La pressione che viene esercitata sulla testa è pari a
pari a circa dieci volte la pressione esercitata sul piede di una persona da un tacco di superficie
3 cm x 3 cm indossato da una donna che pesa 50 kgP, che fa comunque abbastanza male.
Consideriamo che l’imbottitura si possa comprimere di 2,5 cm e quindi in totale si avrà Δs=3 cm.
Sostituendo nelle solite formule troviamo
da cui si capisce che l’accelerazione che subisce la testa è 170 volte quella di gravità, ma la forza è nettamente inferiore a quella precedente, ovvero pari a 8300 N, cioè 830 kgP. Inoltre grazie alla struttura del casco la pressione non è più concentrata su una piccola area, bensì possiamo considerare che la superficie interessata sia di circa 5 cm x 5 cm. La pressione quindi risulterebbe pari a 33 kgP / cm , probabilmente tollerabile dall’osso frontale.
Ovviamente in questi casi non entra in gioco solo la tollerabilità dell’osso ma anche l’accelerazione subita dal cervello all’interno del cranio e il colpo di frusta sul collo, che potrebbe non resistere ad un colpo del genere. Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che nella maggior parte degli incidenti entrano in gioco alcune decelerazioni prima dell’impatto delle persone con il suolo e quindi, purché la testa sia protetta dal casco, più si riesce a scivolare, più è alta la probabilità di cavarsela.
Facciamo un altro esempio e consideriamo cosa succede quando si riceve un colpo in testa da un piccolo martello, diciamo di massa pari a 100 g (cioè 0,1 kg) di superficie 1 cm . In questo caso la testa è ferma, ma assumiamo ancora che l’urto sia anelastico, perciò applichiamo il principio di conservazione della quantità di moto per ottenere la velocità finale della testa:
dove mm è la massa del martello e v0 è la sua velocità iniziale. Dalla formula si osserva che la velocità finale della testa è molto piccola rispetto a quella iniziale del martello, che possiamo stimare all’incirca intorno ai 10 m/s. Utilizzando le formule che abbiamo usato prima e lo stesso valore di Δs, risulta:
quindi la decelerazione subita dal martello è 1000 volte l’accelerazione di gravità, la forza esercitata sulla fronte è circa
e di conseguenza la pressione vale 100 kgP/cm . Si può pensare che, nonostante un valore così elevato, la fronte possa resistere grazie alla brevità dell’urto, ma cosa succede invece nel caso di un incidente stradale?
Pensiamo ad una persona che cade e sbatte la testa mentre stava viaggiando su un motorino alla velocità di 36 km/h, cioè ad una velocità piccola per un veicolo, che corrisponde a 10 m/s. Con gli stessi dati utilizzati prima si ottiene quindi una forza pari a 50000 N, pari a 5000 kgP ovvero 5 tonnellate-peso. Si capisce che la pressione esercitata sulla testa non è tollerabile, ecco perché si ricorre al casco protettivo.
Il casco ha la funzione di ridurre la probabilità che le decelerazioni e la pressioni locali siano intollerabili per la testa e questo è reso possibile dalla sua composizione, infatti:
-
la struttura esterna è estremamente rigida, contribuendo a distribuire la forza su una superficie più ampia possibile;
-
l’imbottitura interna aumenta lo spazio di frenata Δs.
Quindi cosa cambia se la persona che cade dal motorino indossa un casco?
2
2
2
2
2