La fisica per strada
Scoprire la fisica in automobile e in motocicletta
Il terzo principio della dinamica
o principio di azione-reazione
Alla prima legge di Newton manca una piccola ma essenziale precisazione: la forza che si applica ad un corpo per imprimere un’accelerazione deve essere una forza esterna, altrimenti il principio non è verificato. Se è una parte del corpo ad esercitare una forza su un’altra parte dello stesso, allora la forza si dice interna e non produce nessuna accelerazione. Perciò per avere una variazione di velocità è necessario avere una forza che agisca tra corpi diversi. Newton espresse questo concetto con il terzo principio della dinamica:
Secondo questo principio le forze agiscono sempre a coppie, inoltre esso riguarda due oggetti distinti e quindi non ha a che fare con situazioni in cui due forze uguali ed opposte agiscono sullo stesso oggetto annullandosi a vicenda. In tal caso si parla di equilibrio tra forze e non di terzo principio della dinamica.
Il terzo principio stabilisce quindi che per un corpo è impossibile esercitare una forza (di azione) su un altro corpo senza subire una forza uguale ed opposta (forza di reazione). In formule si scrive:
Tutti i fenomeni che ci circondano rispondono al principio di azione e reazione, ma in particolare dove possiamo ritrovare questo principio nello studio del moto dei veicoli per strada? Si pensi ad esempio all’interazione che avviene tra uno pneumatico che ruota senza strisciare e l’asfalto della strada: si tratta di due oggetti distinti, per andare avanti la ruota esercita una forza sull’asfalto e di conseguenza l’asfalto esercita una forza uguale ed opposta sulla ruota.
se un corpo A esercita una forza F su un corpo B, allora a sua volta il corpo B eserciterà sul corpo A una forza -F uguale e contraria su A.
Quindi conoscendo le grandezze misurate in S’ è possibile calcolare le corrispondenti grandezze di S attraverso le relazioni:
da cui
Queste relazioni sono chiamate trasformazioni di Galileo, a partire dalle quali è possibile ricavare anche le relazioni riguardanti la velocità. Indichiamo con v la velocità di un punto materiale misurata nel riferimento S e con v' la velocità dello stesso oggetto rispetto a S’. Consideriamo un piccolo intervallo di tempo si ha:
da cui si ricava
Possiamo concludere che
cioè che la velocità di un oggetto rispetto a S è data dalla velocità dello stesso oggetto rispetto a S’, sommata alla velocità di S’ rispetto a S.
Approfondimento: l'esperimento del "gran naviglio"
<< Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coperta di alcun gran navilio. [...]
Osservato che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio vi sia che mentre il vascello sta fermo non debban succeder così, fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché, pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e là, voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma... >>
Galileo, da "Dialogo sui due massimi sistemi"
I princìpi della dinamica
Storia
L’indagine sulla natura del movimento ha origini molto antiche. Uno dei primi filosofi della scienza che si occupò di fisica fu Aristotele: attorno al 300 a.C. egli realizzò la prima grande sistemazione scientifica del sapere e scrisse, tra i tanti, otto libri di fisica naturale, intitolati Physica. Per Aristotele il moto poteva essere solo causato, in particolare egli distingueva il moto naturale, quello di ciascun oggetto verso il proprio luogo naturale, da quello violento, ovvero quello degli oggetti allontanati dal loro luogo naturale, possibile solo grazie all’aria. La fisica di Aristotele era basata sull’osservazione della natura: lo stato naturale dei corpi è la quiete e qualsiasi oggetto in movimento tende a rallentare fino a fermarsi, a meno che non venga spinto a continuare il suo movimento.
Aristotele Guglielmo di Ockham Galileo Galilei Isaac Newton
Nel medioevo personaggi come Guglielmo di Ockham, Buridano e Alberto di Sassonia, iniziarono a concepire in maniera diversa il moto. Il primo parlava di forma fluens e spiegava il moto come un processo in cui l’oggetto viene a trovarsi in diversi luoghi. Buridano e Alberto di Sassonia concepivano il moto come fluxus formae, ovvero come una proprietà posseduta dai corpi in diversi gradi in base alla loro composizione interna. I filosofi medievali non dimostrarono l’infondatezza della dinamica aristotelica, ma si occuparono di sviluppare una dinamica diversa, propendendo verso una concezione di moto come qualità intrinseca dei corpi.
Bisognò aspettare Galileo e i suoi esperimenti mentali per un capovolgimento del punto di vista aristotelico sull’interpretazione del moto e per arrivare alla prima formulazione del principio di inerzia. Secondo l’intuizione fondamentale di Galileo, seguita poi dalla spiegazione di Newton, non sono le forze a causare il moto, bensì esse sono la causa di una variazione del moto perché producono un’accelerazione. Da qui derivò poi l’affermazione della relatività del movimento: un osservatore può determinare il suo stato di quiete o di moto solo relativamente ad altri corpi (o altri osservatori).
Le basi concettuali della dinamica vennero poste per la prima volta in maniera sintetica e completa da Isaac Newton nel 1687 con la pubblicazione di una delle sue opere fondamentali: "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica". Nella prima parte di quest’opera, dopo aver definito i concetti fondamentali di massa, quantità di moto e forza, Newton introduce i tre assiomi o leggi del moto che presenteremo in questa parte dell’unità didattica.
Si tenga presente che anche nello studio della dinamica è utile partire dall’analisi semplificata dell’entità astratta del punto materiale, dotato di massa ma con dimensioni trascurabili. Tutte le leggi riferite a questo modello possono essere poi estese ai corpi reali (dotate di massa e di dimensioni finite).
Il primo principio della dinamica
Questa legge è nota anche con il nome di principio di inerzia.
Si capisce che tale principio non è per niente in accordo con l’intuito: lo stesso Galileo nel presentare il suo esperimento ideale sottolinea il fatto che esso non sia riproducibile sulla Terra dove gli attriti non sono completamente eliminabili e quindi noi vediamo gli oggetti fermarsi a causa della loro interazione con l’ambiente circostante che comporta sempre l’applicazione di una risultante delle forze non nulla sull’oggetto in movimento.
Principio di relatività galileiana
Sistemi di riferimento inerziali e non inerziali
Esistono tuttavia delle situazioni in cui, pur non essendoci delle forze, si osservano delle variazioni del moto. Si pensi ad esempio a quello che avvertiamo su un autobus quando questo frena bruscamente, oppure a quello che succede ad un oggetto appoggiato sul cruscotto di una macchina che percorre una curva. Anche se apparentemente non agiscono forze, ci sentiamo spinti in avanti oppure vediamo l'oggetto sul cruscotto muoversi. In che condizioni possiamo dire che vale il principio di inerzia? Chiameremo sistemi di riferimento inerziali quei sistemi di riferimento in cui ha validità il principio di inerzia.
L’esperienza insegna che, dato un sistema di riferimento inerziale S:
-
tutti i sistemi che si muovono con velocità costante rispetto a S sono anch’essi inerziali;
-
tutti i sistemi che rispetto a S sono accelerati non sono inerziali.
Nella sezione di cinematica abbiamo infatti visto che un veicolo che frena sta applicando un’accelerazione negativa e uno che affronta una curva è sottoposto ad un’accelerazione centripeta, perciò i sistemi di riferimento fissati sui veicoli in situazioni come queste non sono inerziali e vanno trattati in maniera diversa. Ragionando sul principio di inerzia, Galilei arrivò ad una conclusione ancora più forte, nota come principio di relatività galileiana:
Se la somma delle forze applicate ad un punto materiale in stato di quiete è uguale a zero, allora il punto rimane in quiete.
Se la somma delle forze applicate ad un punto materiale in movimento è nulla, allora il punto continuerà a muoversi in moto rettilineo uniforme.
Le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali, qualunque sia la velocità (costante) con cui essi si muovono gli uni rispetto agli altri.
Cosa comporta questo principio concretamente?
Consideriamo due osservatori, uno nel sistema di riferimento S solidale con la Terra e l’altro nel sistema S' solidale con un’automobile. Se l’automobile viaggia in moto rettilineo a velocità costante v allora gli osservatori useranno le stesse leggi per descrivere gli stessi fenomeni, ci sarà solo una differenza nelle velocità: una pallina ferma sul cruscotto della macchina per l’osservatore in S' rimane nel suo stato di quiete per quanto affermato dal principio di inerzia, mentre per l’osservatore in S essa continuerà a muoversi con velocità v sempre per lo stesso principio.
Per una descrizione dettagliata e quantitativa dei moti che avvengono in sistemi di riferimento inerziali distinti, bisogna capire come variano nei diversi sistemi le grandezze che descrivono il moto (spazio, tempo, velocità, accelerazione). A questo proposito esistono le cosiddette trasformazioni di Galileo. Si tratta di una serie di formule grazie alle quali, in base alla conoscenza della posizione e della velocità di un certo oggetto in uno dei sistemi di riferimento, si può ricavare posizione e velocità dello stesso oggetto nell’altro riferimento.
Per esempio sappiamo che un'automobile in moto se non accelera tende pian piano a fermarsi, anche se in apparenza non stanno agendo forze che la frenino. Intuitivamente siamo quindi portati a pensare che il veicolo rimane in moto solo se esiste una forza che mantiene la sua velocità.
In realtà sull'automobile agiscono delle forze di frenata, dette anche di attrito e per contrastare queste è necessario continuare ad accelerare lievemente, in modo tale che la risultante delle forze sia nulla.
Per arrivare a tali trasformazioni, introduciamo due semplificazioni che ci aiuteranno con i conti:
-
I cronometri nei due sistemi di riferimento partono insieme quindi, detto t l’istante di tempo misurato in S e t’ quello in S’, gli istanti iniziali t=0 e t'=0 coincidono e tutti i valori successivi segnati dai due orologi sono identici: t=t' ;
-
All’istante iniziale i due sistemi di riferimento S e S’ coincidono e in particolare le loro origini O e O’ occupano lo stesso punti.
Indicheremo inoltre in grassetto le grandezze vettoriali, mentre le grandezze scalari sono lasciate a spessore normale.
Sia V la velocità (costante) con cui il sistema di riferimento S’ si muove rispetto a S, si ottiene che:
Curiosità: la relatività del tempo
Potrebbe sembrare intuitivo pensare che il tempo sia lo stesso in tutti i sistemi di riferimento. Questo è in accordo con le esperienze quotidiane che facciamo: ci aspettiamo che un intervallo di tempo sia lungo uguale se lo misuriamo su un treno in movimento oppure sulla banchina della stazione. Siamo cioè portati a pensare che il
tempo sia un invariante, cioè che sia una grandezza assoluta che non dipende dal sistema di riferimento in esame. Fu Albert Einstein il primo scienziato a ipotizzare la relatività del tempo. Secondo la sua teoria, due persone in sistemi di riferimento inerziali rispettivamente in moto misurano intervalli di tempo diversi. Perché non percepiamo questo fenomeno?
Le variazioni diventano apprezzabili solo per velocità prossime a quelle della luce, mentre nella nostra esperienza quotidiana percepiamo fenomeni a velocità notevolmente minori.
All’istante t la distanza tra le origini è data dal vettore V t = V t'
I vettori s e s' indicano la posizione del punto P nei sistemi di riferimento S e S’.
Si vede dal disegno che vale la relazione:
s=s'+V t'
Esempio
Su una strada rettilinea un’automobile A vede una seconda automobile B che la sorpassa alla velocità costante di 30 km/h. Una pattuglia stradale, ferma sulla strada, misura la velocità dell’automobile A, che risulta di 60 km/h. Qual è la velocità dell’automobile B, misurata dalla pattuglia?
Consideriamo un sistema di riferimento S' solidale con l’automobile A che viaggia ad una velocità V=60 km/h (in S' l’auto A è ferma). In questo riferimento l’auto B ha velocità v'=30 km/h. Il sistema di riferimento S è quello solidale alla terra in cui la pattuglia è ferma. Si osserva che in questo caso possiamo tralasciare la notazione vettoriale perché le velocità delle due auto hanno stessa direzione e verso.
Otteniamo che la velocità di B misurata rispetto alla pattuglia risulta: v=v'+V= 30 km/h + 60 km/h = 90 km/h.
una forza non equilibrata produce su un corpo di massa m un’accelerazione a, il cui valore è direttamente proporzionale all’intensità della forza e inversamente proporzionale al valore della massa del corpo.
Aldo e Lucilla spingono il loro veicolo in panne imprimendo una forza rispettivamente F1 e F2 nella stessa direzione e verso. Per calcolare l'accelerazione della macchina, bisogna tener conto di entrambi i contributi dei ragazzi. Il risultato è analogo a quello di un'unica persona che spinge il veicolo con forza pari a F1+F2 che chiameremo risultante.
Consideriamo invece una partita di tiro alla fune. La squadra di destra tira con una forza F1, mentre quella di sinistra si oppone tirando in verso opposto con una forza F2. Questa volte le due forze hanno verso opposto: F1 cerca di accelerare la corda verso destra, F2 verso sinistra. Come nel caso precedente per calcolare l'accelerazione della corda dobbiamo tener conto dei contributi di entrambe le squadre, che agiscono in versi opposti. La risultante in questo caso è data da F1-F2.
I concetti
Anche noi, come Newton, prima di procedere nella trattazione dei principi della dinamica, dedichiamo un po’ di tempo per introdurre due concetti che saranno di importanza fondamentale: quello di massa e di forza.
Dall’esperienza sappiamo che ogni oggetto mostra una certa resistenza (o inerzia) quando lo si vuole mettere in movimento. Si osserva in particolare che se due oggetti sono fatti della stessa sostanza ma hanno volumi differenti, la resistenza è maggiore nel corpo che ha volume maggiore. Si può quindi affermare che tale opposizione al moto appare determinata dalla quantità di materia di cui un oggetto è fatto. In fisica la grandezza che determina la resistenza di un corpo si chiama massa e il suo valore non dipende dalla posizione del corpo, né dalla presenza di altri oggetti, siano essi piccoli o grandi. L’unità di misura della massa è il kilogrammo (kg).
In generale in fisica, quando si definisce in maniera operativa una grandezza, si descrivono innanzitutto gli strumenti utili a misurarla, dopo di che si specifica come vanno usati precisamente tali strumenti.
Quindi operativamente possiamo definire la massa come la grandezza fisica che si misura con uno strumento chiamato carrello delle masse, costituito da un carrello collegato a una molla, fissata alla parete del laboratorio. Per effettuare la misura, si posiziona la massa sopra il carrello, si muove quest’ultimo in modo che la molla cominci ad oscillare avanti e indietro e si misura il periodo di un’oscillazione completa.
Due oggetti di massa uguale compiranno, separatamente, oscillazioni che hanno lo stesso periodo, invece tra due oggetti di massa diversa, quello maggiore eseguirà oscillazioni molto più lente.
Come abbiamo fatto per la massa, vogliamo dare anche per la forza una definizione di tipo operativo: la forza è una grandezza fisica vettoriale, il cui modulo si misura con uno strumento chiamato dinamometro, costituito da una molla e da una scala graduata. Il dinamometro si dispone nel verso della forza e lo si tara in modo da portare l’indicatore dello strumento sullo zero della scala graduata. Al dinamometro si appende, tramite un gancio fissato al termine della molla, l’oggetto sul quale agisce la forza di cui vogliamo calcolare il modulo e si legge sulla scala graduata il valore indicato.
Esercizi sulla relatività galileiana
Il secondo principio della dinamica
Il primo principio della dinamica afferma quindi che se su un oggetto non agiscono forze, oppure se la risultante delle forze agenti è nulla, allora il corpo rimane nel suo stato di moto, ovvero mantiene costante la sua velocità, sia essa nulla oppure diversa da zero.
Cosa accade quando invece su un corpo agiscono delle forze?
Dobbiamo la risposta a questa domanda ad Isaac Newton che per primo elaborò il secondo principio della dinamica, conosciuto anche come seconda legge di Newton. Egli capì che interagendo con un corpo, ovvero applicando una forza ad un corpo, si modifica la sua velocità. Dallo studio della cinematica sappiamo che una modifica della velocità corrisponde ad un’accelerazione, quindi forza e accelerazione sono due grandezza strettamente connesse. Newton espresse questa interdipendenza con questa formula:
In parole:
Si osserva che il vettore F ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore a.
Cosa succede se sul corpo agiscono più forze?
La risultante delle forze è quindi la somma vettoriale delle forze agenti. L'accelerazione di un corpo soggetto a più forze è la stessa di un corpo su cui agisce solamente la risultante.
Scriviamo le formule inverse:
Esse ci permettono di calcolare l'accelerazione in un corpo di cui conosciamo la massa e la risultante delle forze, oppure possiamo calcolare la massa del corpo conoscendo l'accelerazione che viene impressa al corpo da una certa forza. La seconda relazione ci fornisce un modo per definire la massa in maniera operativa, come abbiamo già accennato. In particolare possiamo dedurre che se un corpo ha massa maggiore rispetto ad un altro, tenderà ad accelerare di meno se sottoposto alla stessa forza.
Il secondo principio della dinamica ci porta a definire l’unità di misura della forza: il newton (N):
un newton è l’intensità della forza che, applicata a un corpo di massa 1 kg, gli conferisce un’accelerazione di 1m/s , in formule:
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